Alessandro Dotti • 15 Aprile 2018

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A Brera, nel distretto dell’arte durante Art Week il percorso espositivo della mostra Mea Culpa  di Dotti propone una immaginaria linea per l’arte, in omaggio a Piero Manzoni che parte dal suo sue ex studio, attuale studio Zecchiello (in via Fiori Chiari 16), laboratorio di progettazione di nuovi linguaggi, continua  da  Stefano Civati, art consulting (Fiori Oscuri 3), si carica di colore e di forma, memoria e identità  nello storico negozio Crespi del 1880, dove gli artisti di ieri e di oggi hanno trovato gli strumenti del fare arte (via Brera 28/A), e finisce con  un ipotetico viaggio in Oriente,  nel raffinato  ristorante Tokio Grill (via Fiori Oscuri 3), dove l’arte ali-menta il corpo e  lo spirito.

J.C.

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Simbiosi tra fotografia e pittura, colore, gesto e materia di Alessandro Dotti

Dotti, figlio d’arte, fotografo free lance, militante dell’immaginario con attitudini artistiche già evidenti nelle fotografie di moda e nei suoi ritratti di celebrità realizzate per riviste internazionali a partire dagli anni ottanta, dal 2010 comprende nella sua ricerca plurima una volontà di trasgredire le norme della rappresentazione fotografica tradizionale, mescolando tecniche e linguaggi, codici visivi, alla ricerca di una intuizione oltre l’imitazione del reale. Identificazione, riconoscibilità del soggetto e, paradossalmente, estraneità al dato reale sono i suoi indici investigativi perseguiti nel tentativo di sostituire il mondo oggettivo con un segno più metafisico, concettuale, carico di nuovi significati di apparente realismo, dall’immediato impatto visivo, dichiaratamente Pop. Le sue immagini si riconoscono per un’accentuata abilità compositiva e formale e per espedienti pittorici, manierismi chiaroscurali che rivelano la sua conoscenza della storia dell’arte antica e moderna occidentale, con l’intento di trasferire in superficie processi interiori, in cui tutte le forme di relazione tra soggetto e oggetto producono esperienze conoscitive diverse, attraverso soluzioni formali sempre più estranee ai codici della fotografia di moda patinata, accentuando così una vocazione pittorica ancora in via di sperimentazione.

Dei pigmenti acrilici, Dotti propone una singolare foto-pittura fondata sulla verifica ininterrotta del mondo capace di creare un’altra realtà, illusiva, surreale, nella ricerca volontaria di strutture visive ambivalenti, in cui il colore, il gesto e la materia si fa segno e ricorre a meccanismi visuali che tendono ad annullare ogni distanza tra invenzione e realtà, pittura e fotografia, al punto di far sembrare naturali le immagini presentate. L’autore attua uno spostamento visivo continuo dalla fotografia alla pittura e viceversa, rendendo instabile ogni forma di percezione; adotta la pratica dello spaesamento introdotta da De Giorgio Chirico ed elaborata da Marcel Duchamp, in cui gli oggetti dai contorni ben delineati assumono nuovi valori plastici ed estetici, al di fuori di tradizionali procedimenti di raffinate tecniche di post-produzione digitale, in rapporto dialettico tra linguaggio e pensiero, simulazione e rappresentazione, illusione e realtà. Nella sua ricerca anche i più estremi e autonomi universi del fantastico sono sempre referenziali; se così non fosse, il fruitore non potrebbe configurare la loro esistenza. Le sue opere vivono tra la contraddizione del linguaggio fotografico e la valorizzazione di quello pittorico, avvalendosi di una solida composizione geometrica dello spazio e di “profondità” luministiche spaesanti, in cui l’irregolare tende a diventare una norma compositiva, dove i codici si mescolano e l’impossibile diventa possibile.

Se la fotografia, nell’istante della riproduzione, agisce sul fenomeno, ne provoca un’autentica metamorfosi e modifica nella dimensione più essenziale, anche il tempo ideale diviene concetto, in cui il colore e la trama materica dei pigmenti acrilici per l’autore divengono l’espediente per comporre immagini sempre più ambivalenti, con prospettive spaziali inattese che altrimenti non sarebbero percepibili. In questa nuova e inedita serie di 14 opere incentrate sulla lattina cilindrica di alluminio, ready made del consumismo dal 1957 ad oggi, il contenitore di alimenti emblema della società di massa assurge a metafora del senso della conservazione di una esistenza smaterializzata nell’epoca digitale nel nuovo millennio, del tempo e della persistenza della memoria, introducendo una riflessione critica sulla necessità di conservazione del valore dell’arte, a favore della cultura dell’essere e contro quella dell’apparenza come codice esistenziale e prassi umana. L’opera unica di Dotti si inscrive anche nella firma: una goccia del suo sangue come “dripping” esistenziale non replicabile.

Jacqueline Ceresoli

Alessandro Dotti’s symbiosis between photography and painting, colour, gesture and matter

From 2010, Dotti – for whom art runs in the family, a free-lance photographer whose artistic attitudes were already undeniable in his fashion photographs and his celebrity portraits made for international magazines in the eighties – has included in his pluralistic research a desire for transgressing the rules of traditional photographic representation. He mixes techniques, languages, and visual codes, in search of an intuition beyond the imitation of the real. Identification, recognisability of the subject, and, paradoxically, the non-involvement with the factual data are his investigatory indicators, pursued in the attempt to replace the objective world with a more metaphysical and conceptual sign, charged with new meanings of illusory realism and of immediate visual impact, openly Pop. His images are distinguished by marked compositional and formal skills, and by pictorial expedients, chiaroscuro mannerisms that reveal his knowledge of ancient and modern Western art history. Inner processes, in which all forms of relationship between subject and object produce different cognitive experiences, are transferred on the surface through formal solutions that are more and more distant from the codes of glossy fashion photography, thus sharpening a pictorial vocation that still is in the process of experimentation.

Dotti offers a unique photo-painting based on the continuous examination of the world, capable of creating another, illusive and surreal reality. A voluntary search of ambivalent visual structures, where colour, gesture and matter become a sign, using visual mechanisms that tend to cancel all distances between invention and reality, painting and photography, to the point to make the presented images appear as natural. The artist implements a continuous visual shift from photography to painting and vice versa, making every form of perception unstable. He adopts the practice of disorientation introduced by Giorgio De Chirico and developed by Marcel Duchamp, in which objects with well-defined outlines take on new plastic and aesthetic values, outside traditional procedures of refined digital post-production techniques, in a dialectical relationship between language and thought, simulation and representation, illusion and reality. In his search, even the most extreme and autonomous universes of the fantasy are always referential; if not, the user could not configure their existence. His works live between the contradiction of the photographic language and the enhancement of the pictorial one, using a solid geometric composition of space and displacing luminist “depths”, in which the irregular tends to become a compositional norm, where codes are mixed and the impossible becomes possible.

When photography, at the very moment of reproduction, acts on the phenomenon, causing an authentic metamorphosis and modifying it in the most essential dimension, even the ideal time becomes a concept, in which the colour and the materic weft of the acrylic pigments become the expedient to compose ever more ambivalent images, with unexpected spatial perspectives that would otherwise not be perceptible. In this new and unprecedented series of 14 works centred on the cylindrical aluminium can – the ready-made of consumption from 1957 to the present –, the container, an emblem of mass society food, becomes the metaphor for the sense of preservation of a dematerialized life in the digital age of the new millennium, of time and persistence of memory. He thus introduces a critical reflection on the need to preserve the value of art, in favour of the culture of being and against that of appearance as an existential code and human practice. The unique work of Dotti is also inscribed in his signature: a drop of his own blood, an existential and non-replicable “dripping”.

 

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